La Fine e il Nuovo Inizio: gli esagrammi 63 e 64

di Paolo Raccagni

Siamo giunti alla fine di un anno e ci prepariamo ad accoglierne uno nuovo e questo passaggio, questo “cambiamento”, mi dà lo spunto di portare uno sguardo al Libro dei Mutamenti, l’YI JING. Un testo che ha accompagnato la cultura del popolo cinese attraverso secoli di storia e che ora ritroviamo in libreria relegato nello scaffale delle “scienze esoteriche”. Certo, è arrivato fino a noi per la sua caratteristica “divinatoria”, ma ad uno sguardo più profondo ci mostra tutta la sua essenza (JING) di Testo Classico (JING) del pensiero filosofico cinese.

In questo post prendo in considerazione gli ultimi due esagrammi del Testo: il numero 63 “Il Compimento” e il numero 64 “Il non Compiuto”. Entrambi gli esagrammi (immagini costituite da sei tratti orizzontali e sovrapposti che possono essere interi - Yang - o spezzati - Yin) sono composti da tre tratti interi e tre tratti spezzati posti in modo alternato.

Il primo esagramma, Il Compimento (“Dopo il Compimento” per il Wilhelm e “Gia Attraversato” per Faure e Javary), il n° 63, JIJI (既 濟) inizia, in basso, con un tratto intero e a seguire un tratto spezzato… per terminare con un tratto spezzato. Dunque una sequenza “ordinata” di tratti Yang in posizioni dispari (1 - 3 - 5) e tratti Yin in posizioni pari (2 - 4 - 6); ordine che vede il tratto centrale del trigramma inferiore, Yin, e il tratto centrale di quello superiore, Yang. Ogni singola linea si trova al posto giusto; un aspetto favorevole dunque, ma che nella dinamica del Libro dei Mutamenti non può che avere una forma transitoria. “Proprio quando si è raggiunto l’equilibrio perfetto, ogni altro movimento può turbare l’ordine e provocare un ritorno alla disgregazione” (Wilhelm). Questa impressione di “perfezione” sembra immobilizzare la figura  in “modello meccanico stereotipato”, modello lontano dalla logica dell’YI JING che vede nel continuo cambiamento il giusto fluire della “Via”.

La precarietà di questa perfezione è accentuata dal rapporto tra le due “energie” in gioco: il Fuoco, rappresentato dal trigramma inferiore (LI) e l’Acqua rappresentata da quello superiore (KAN). Fuoco e Acqua sono simbolo di un’antitesi, non si possono unire senza provocare danno l’uno all’altro: nonostante ciò mantengono un “legame sottile”; ad esempio se interponiamo un’altro elemento tra loro come il Metallo (vedi DING - Il Calderone), possiamo ottenere la cottura dei cibi. Ed è proprio l’immagine di un pasto, già consumato, che è evocata da uno dei due ideogrammi, quello di sinistra, che compongono il nome dell’esagramma JIJI. Si allude dunque ad una situazione difficile, la permanenza del Fuoco sotto l’Acqua, che richiede estrema attenzione in quanto può portare all’esaurimento dell’Acqua e conseguente consunzione del Fuoco: “In principio salute, alla fine scompiglio” (Wilhelm). Il secondo esagramma è anticipato dalla sentenza del primo.

Il non Compiuto (“Prima del Compimento” per il Wilhelm e “Non ancora Attraversato” per Faure e Javary), il n° 64, WEIJI (未 濟) inizia, in basso, con un tratto spezzato e a seguire un tratto intero… per terminare con un tratto intero: “Uno Yin - Uno Yang è ciò che si chiama Tao” (Il Gran Commento). L’immagine è composta dagli stessi trigrammi, Fuoco e Acqua, ma posti in modo inverso: “il Fuoco (in alto) brucia e si dissipa, l’Acqua (in basso) scorre e la terra si secca” (F. Jullien). Ogni elemento segue la sua inclinazione energetica: il Fuoco tende verso l’alto e l’Acqua verso il basso; una situazione che richiama l’immagine della Separazione (“La Stagnazione” - PI esagramma n° 12), dell’incompiuto.

In questo ultimo esagramma l’ordine sembra disgregarsi, nulla è al proprio posto (i tratti Yin occupano le posizioni Yang e vice versa), quasi che il Libro dei Mutamenti si chiuda in una sorta di sospensione. Una sospensione solo temporanea, perché seguirà immediatamente il primo esagramma della coppia che apre il Libro, il Cielo che con il secondo, la Terra, compongono i pilastri su cui si appoggia tutto l’YI JING. Questo senso di incompiutezza pone il Testo come un modello che non deve essere seguito rigidamente. Un modello che non deve funzionare meccanicamente, ma che può rinnovarsi solo uscendo da ogni codificazione rimanendo aperto e libero da ogni ingabbiamento stereotipato: “Il Dao di cui si può parlare non è il vero Dao” (DAO DE JING).

Buona Fine e Buon Inizio.
 
Per i riferimenti ai testi usati consulta la pagina bibliografia del blog

Dao: quotidianità nel III° millennio - Intervista a Georges Charles

di Matteo Salvadori

Esiste una ripetitività, o una routine, o ancora un "rituale" che può portare o aiutare l'armonia nella sua vita di tutti giorni?

L’aspetto essenziale nella pratica è il rituale del “Saluto” (Jing Li) in quanto contiene la totalità della pratica stessa e, come suggerisce il nome, è il rituale di inizio di tutte le cose, ma deve essere inteso anche come rituale di - e per - la salute: in francese si dice "salut" (salutare) per accogliere qualcuno e "salut" (salute) quale concetto di salute. Il "saluto rituale" consente di ristrutturare sé stessi, riordinare sé stessi, rispettando l’asse naturale della vita utilizzando i quattro Orienti, che sono lo strumento per ordinare le cose nello spazio. L'ideale è posizionarsi con lo sguardo rivolto verso Sud. "Appoggiato e strutturato sullo Yin, abbracciando e accogliendo lo Yang". Se uno si sente "spaesato" o si sente "perduto", il saluto permette di recuperare il senso delle cose nel giusto ordine.

San Yi, il 3 nell’1. Allievo, Istruttore, Maestro. Mi spiega questi tre passaggi come sono stati per lei, e se ha aspetti positivi o negativi che riaffiorano alla mente e che hanno caratterizzato queste tre fasi della sua vita?
E oggi? come si reputa di fronte ai suoi allievi della Scuola? Non le piace esser paragonato ad un Maestro, ma se è quello che gli altri vedono in lei, come se lo spiega?

Studente, Istruttore, Maestro assomiglia alla triade “studio della pratica, pratica, realizzazione della pratica”. Nella prima impariamo a praticare. Nella seconda fase la fine è il nuovo inizio, come il nuovo percorso che si attua dalla cintura nera in poi nelle varie Scuole giapponesi. Nella terza fase la pratica diventa una realizzazione di sé stessi (realizzazione = azione del reale). Citando le parole di Confucio: "Ci si realizza per metà con la pratica, e l’altra metà mediante l'insegnamento". Insegnare è uno dei risultati della pratica. Ma per insegnare bisogna aver praticato, e per praticare bisogna aver studiato. Nessuno studio avviene senza una sua pratica, e al tempo stesso non si può praticare senza un suo studio. Bisogna quindi in primo luogo educare e formare gli studenti per formare dei praticanti, e conseguentemente formare sé stessi quali insegnanti per diventare Maestri. Se un Maestro non ha al suo seguito degli allievi che insegnino la materia, colui non può considerarsi tale ma semplicemente insegnante.
È un percorso, prima bisogna fare, poi si deve sapere, poi si sa fare, e infine saper far fare. Bisogna soprattutto porsi la domanda “perché fare?”, quindi rendere la pratica utile senza farla diventare un modo di gesticolare che può assumere la pratica quando diventa insensata, quindi senza senso come purtroppo succede sia in Cina che altrove. In India c'è una casta, quella dei bramini, i quali non possono fare altro che insegnare e trasmettere la loro conoscenza. Possono vivere con i loro insegnamenti, ma non possono arricchirsi mediante essa. Quando si insegna dobbiamo realizzare che non è questo lo strumento per arricchirsi, soprattutto quando si ha la possibilità di avere una qualità della vita soddisfacente. L'insegnamento è una vocazione, come quella del terapeuta, se non si ha questa vocazione per ciò che si fa è meglio allora fermarsi e cambiare "lavoro". Insegniamo perché vogliamo diventare dei buoni insegnanti che trasmettono qualcosa per cui ne vale la pena.
Gli studenti. Mi piace il principio cinese che considera la scuola tradizionale come una famiglia (Jia o Gar). Sifu è lo "zio" e considera i suoi studenti come i suoi nipoti, e loro lo considerano una sorta di "padrino", in senso buono. Vi è quindi una grande rispetto reciproco basato sui legami di sangue, la parentela, quasi un rapporto filiale, tra padre e figlio. Non è un rapporto alto-basso come un rapporto piramidale e guerrigliero come in Giappone. In questo legame di trasmissione rappresento un po’ il loro nonno: gli studenti sono quindi legati a me, ed io a loro.
Maestro: In Francia, come in Italia, il termine "Maestro" è abusato e non significa più nulla. L'unico modo che ho accettato è quello di "Maestro d'Armi" (Herald francese antico). Io preferisco quello di "Professore", che è più alto nella gerarchia. Ci sono troppi "piccoli maestri" come troppi "piccoli marchesi". In cinese il mio titolo esatto è "Shengren Daoshi" letteralmente "uomo compiuto che trasmette la Voce, la Via", e in effetti questo è lo stesso concetto di "esser compiuto, realizzato".
Mi piace l’idea che si possa pensare di essere compiuti, realizzati, ma non è il mio caso: ho ancora molto da imparare e da compiere in questa Via.
In Italia Maestro è un termine molto comune… per poi diventare "Dottore", "Professore", "Commendatore"... poi “Duce”! Non volevo diventare un dittatore, anche se generalmente gli insegnanti sono dei piccoli dittatori.

Quale è stato il momento nel quale ha realizzato che avrebbe investito tutta la sua esistenza in questo "percorso di vita" legato alle pratiche cavalleresche?

Sono stato vice direttore delle vendite in un’azienda che operava nel settore agroalimentare. Il mio capo un giorno mi ha inviato una lettera in cui mi ha scritto che "Non è possibile eseguire due cose alla volta. Si deve scegliere tra il lavoro e il tempo libero". Ed io ho scelto. Mi sono dimesso.
In quel momento ho realizzato che avrei dedicato la mia intera vita alla pratica e alla sua trasmissione. Questo è successo nel 1977. Sono ormai quarant’anni, e non me ne pento. Sinceramente devo constatare che non è stato facile, e se dovessi nuovamente scegliere, probabilmente lo rifarei, anche prima, anche nel 1970!

La sua quotidianità è impregnata di Dao? Quando lava i piatti, lo fa con la serenità del Dao?

Dao. La Via. È semplicemente parte integrante della mia vita come le ore ed il tempo che fanno parte e scandiscono la mia vita. A volte è necessario seguire il tempo e gli orari (per prendere un treno o un aereo), a volte non ci interessa perché non abbiamo ‘orari’ da dover seguire. Non guardo quasi mai l’ora, ma al tempo stesso sono raramente in ritardo. Ma il Dao mi da la possibilità, fortunatamente, per me di arrabbiarmi, altrimenti non sarebbe il Tao! Quindi la serenità arriverà in un altro momento.

Momento complicato della sua vita: quali sono stati gli strumenti adottati che sono risultati efficaci per procedere al meglio in questa situazione difficile?

Quando mi trovo in situazioni difficili cerco di semplificare e vedere le cose con una nuova prospettiva, e mi ripeto sempre che ci sono un sacco di persone che si sono trovate in situazioni anche ben peggiori della mia e che sono riuscite a risolvere i loro problemi. La Via-vita è l'unica vera avventura, sessualmente trasmissibile, della quale siamo sicuri di non poterne uscirne vivi. E realizzo che nel dubbio bisogna passare all’azione perché è la cosa più facile. Bisogna ritornare all’essenziale della vita, conservando in sé la propria rettitudine, sia essa fisica, psichica, morale.

C'è qualcosa che vorrebbe fare e che non è ancora riuscito a finalizzare?

Ci sono un sacco di cose che avrei voluto fare, come imparare a suonare un po’ di musica (per incantare e affascinare i serpenti!) o imparare a gestire vari aspetti economici del nostro tempo, così da non farmi truffare dalla mia banca, o dal mio assicuratore. E poi le tasse e le imposte, ma è solo questione di tempo. Quindi bisogna fare le cose con attenzione. Recentemente sto lavorando e terminando la stesura di un libro riguardante la resistenza: bisogna quindi resistere.

Progetti per il futuro?

Progetti per l’avvenire? Continuare a praticare, a studiare, a trasmettere e nella mia realizzazione personale per poi dire a me stesso: "Non voglio sprecare il mio tempo!".

per saperne di più...

DING Il Calderone Rituale

di Paolo Raccagni

DING 鼎,  esagramma 50 dell’YI JING, il “Classico delle Mutazioni”, rappresenta un vaso sacrificale, in particolare un calderone in bronzo, usato nell’antica Cina durante i riti nel culto degli antenati.

L’esagramma è formato da una coppia di trigrammi: quello superiore o esterno, è LI, il Fuoco; composto in successione, dal basso verso l’alto, da un tratto intero (YANG), un tratto spezzato (YIN) e nuovamente da un tratto intero; quello inferiore è XUN, il Vento o l’elemento Legno, composto da un tratto spezzato e due tratti interi che lo sormontano. L’immagine è dunque quella di un Fuoco che “aderendo” al Legno, arde scalda, illumina e cuoce. Questo aspetto della cottura ci riporta al rituale.

Il rito è il rigeneratore dell’ordine, ridà ordine al disordine. Legato alle nozioni di spazio e tempo, struttura l’Uomo e lo avvicina alla “conoscenza”, ponendolo in un istante preciso in un determinato punto, un luogo in cui macrocosmo e microcosmo si fondono.

DING  Il Calderone
Immagine tratta dal testo "Les exercices de santé du Kung Fu" di Georges CHARLES
Se ce un rituale non può mancare un’offerta, perché l’offerta sacrificale è la parte essenziale del rito. All’inizio le offerte erano rappresentate da animali, frutta, cereali, …  in parte cotti e mangiati durante la cerimonia, altri bruciati in  modo che il Soffio Vitale dell’alimento, trasformato e purificato, per mezzo della cottura, potesse salire al Cielo e gratificare gli Antenati.La disposizione delle linee dell’esagramma evoca l’immagine del calderone: le due linee iniziali rappresentano i piedi, le tre linee intere la pancia del calderone, la quinta linea spezzata le maniglie o gli anelli e l’ultimo tratto intero è la barra che sostiene il recipiente, oppure il coperchio.

All’inizio semplici pentole utilizzate per la cottura dei cibi, posti all’interno dei templi degli ancestri, divennero in seguito delle realizzazioni artistiche molto raffinate, emblemi di spiritualità, strumenti di “comunicazione” tra il mondo visibile, terrestre e quello invisibile, celeste. Trasformati in simboli di potere politico e religioso, era uso da parte della nobiltà, al conseguimento di un titolo importante, fondere un calderone per manifestare agli occhi di tutti la sua nuova posizione sociale.

DING - Pechino - Città Proibita
Sul coperchio appaiono gli Otto Trigrammi
nella sequenza del Cielo Posteriore
Fuso in lega di bronzo (QING TONG 青銅: metallo 金, armonioso 同, verde azzurro 青), il calderone rappresenta l’Elemento Metallo nell’ambito dei Cinque Elementi, o Movimenti, dell’energetica Cinese. Il Metallo ha la capacità di separare l’Acqua dal Fuoco, generato dalla combustione del Legno, ma nello stesso tempo unirli, senza che nessuno dei due ne subisca un danno. Altro concetto è quello di contenitore e contenuto; all’interno del calderone mettiamo il cibo (MI 米 cereale), l’Elemento Terra, in cottura per ottenere una trasformazione, una mutazione (YI): da un prodotto crudo (grezzo - solido) ad una pietanza cotta (raffinata - sottile). Durante la cottura si genera un vapore (QI 气), il Soffio Vitale (QI 氣) dell’alimento, che sale al Cielo per essere assaporato dagli antenati.

Leggendo il testo dell’YI JING che riguarda DING si ha la percezione di una trasformazione per stadi successivi che avviene all’interno del crogiolo alchemico. Inizia con una “ostruzione” che ci porta immediatamente all’esagramma “Difficoltà Iniziali” (ZHUN) e via via, attraverso una densificazione e raffinazioni successive, si giunge ad una “trasmutazione” del bronzo in giada. La giada rappresenta il potere  dell’autorità imperiale, ma è anche il “talismano” più potente della vitalità, simbolo della virtù, della purezza, della incorruttibilità del corpo, dell’immortalità.

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La Medicina Tradizionale

di Paolo Raccagni
   
   Quando ci si accosta allo studio dell’Uomo attraverso l’interpretazione che ci viene data da qualsiasi Medicina Tradizionale è opportuno ricordare che non si tratta di una scienza equiparabile alla medicina occidentale moderna. La differenza sostanziale tra lo spirito scientifico moderno e quello Tradizionale è che la scienza moderna rende obsoleto, ad ogni nuova scoperta, il pensiero che la precedeva. Al contrario la Tradizione attinge ad un sapere comune, profondo, unico, ovvero ad una conoscenza che accomuna tutti i popoli.

   Annick de Souzenelle nel suo libro “Il Simbolismo del Corpo Umano” afferma che le tradizioni, con il loro profondo messaggio, parlano la lingua UNA, quella prima di Babele. Esse hanno posato il loro segreto nel centro del nostro essere, come pure nei loro libri sacri ed il corpo ne è il depositario.

Allora possiamo dire che la Tradizione è una scienza, anzi La Scienza, che “… ci rimanda all’archetipo, al principio e ai principi, all’essere e alla sua manifestazione; il resto è solamente uso e costume” (J. M. Kespi). Una scienza rivelata tramite un’iniziazione o direttamente, nata perfetta, in epoca di cui nessuno ha memoria e che è giunta fino a noi tramite la trasmissione tra Maestro e allievo, in una lingua che affonda le sue radici nei riti, nei miti e nei simboli.

  La costante di questa Medicina è di porre l’Uomo come responsabile di sè stesso e in grado di riconoscere l’atteggiamento per acquisire e mantenere uno stato di salute, fisica, mentale e spirituale, migliore possibile, in relazione all’ambiente che lo circonda. La Medicina, disciplina affidata al sacerdote, un tempo custode del potere di guarigione, ed in seguito al medico, aveva il compito di “educare” l’Uomo attraverso consigli sul come nutrirsi e comportarsi, nell’indicare il modo migliore per rapportare le proprie regole di vita alla natura e mantenere la propria “autenticità”. Inoltre il suo compito era di regolarizzare, armonizzandole al ritmo del Cielo e della Terra, le energie dell’Uomo, evitando quindi la comparsa della malattia.

Le Tre Regolazioni

di Michele Marchesini

Calmare e pacificare

    Dalla postura di base WU JI: spostando il peso da un piede all’altro, iniziamo ad oscillare dolcemente per calmare il cuore e pacificare lo spirito … “se il cuore è agitato lo spirito non è efficace”. E’ regolare ed equilibrare, Yang e Yin, fra sinistra e destra, come per lasciare l’impronta sul terreno alternativamente; è un po’ come cullarsi, quasi addormentandosi.


Il movimento interessa i nostri liquidi interni, in profondità, ed in particolare quelli del cervello. Nel movimento di base, la cosa più importante, è semplicemente spostarsi (senza sporgersi con le anche, senza fluttuare eccessivamente con la colonna vertebrale, mantenendo le ginocchia leggermente flesse) fra destra e sinistra, portando e alternando il peso tutto su un piede e poi sull’altro, senza però staccare da terra il piede scarico. In questa fase ci si può anche aiutare con le mani, sollevandole e abbassandole alternativamente, in modo da percepire meglio il vuoto (il leggero, come “togliere”) ed il pieno (il pesante,come “dare”) a livello dei piedi: portando il peso a destra, il palmo destro schiaccia in basso mentre la mano opposta sale verso i fianchi e viceversa a sinistra.

Successivamente, allo spostamento di peso da una gamba all’altra, si può abbinare il movimento più consueto delle braccia e dei palmi, dapprima con un semplice spostamento rettilineo poi con un movimento circolare che disegna con mani e braccia un otto sdraiato (è l’infinito!!!). Il movimento “classico” delle mani e delle braccia è fra petto e ventre, ma si può lavorare anche solo a livello dell’addome o del torace, senza escludere movimenti più ampi che vadano al di là di BAI HUI (vertice della testa) e al di qua di HUI YIN (centro del perineo). E’ possibile anche passare ad un movimento tridimensionale, sferico, ruotando la colonna vertebrale portando le mani verso il retro.


Si può immaginare di avere una sfera fra i palmi, si può anche, in alternativa, pensare di riempire e vuotare una brocca piena di acqua o di essere come onde che morbidamente (ci stiamo pur sempre calmando e pacificando) si frangono sulla battigia: è un flusso ed un riflusso. Il respiro è libero, ma, se il movimento è sufficientemente lento, è più naturale inspirare con le mani che salgono ed espirare con le mani che scendono.


Per chi conosce il TAI JI il movimento, nel suo momento di riflusso, può essere assimilato ad un LU, “cedere ruotando”; nel Qi Gong dei cinque elementi è come far circolare l’energia dell’Acqua.


  
Risvegliare e concentrare
   Se nella prima regolazione, “cullandoci e pacificandoci”, abbiamo corso il rischio di addormentarci, occorre ora risvegliarci con un ampio movimento di apertura a livello del petto; lavorando con il nostro soffio vitale, il QI, la nostra energia interna, ci apriamo alle sensazioni per poi successivamente concentrare il soffio a livello dell’addome… “conoscere i sensi e non esserne schiavi … concentrare il soffio senza bloccarlo”. Aprire aiuta il concentrare e concentrare aiuta il risvegliare. Il primo significato di questo movimento é regolare ed equilibrare Yang e Yin fra avanti e dietro e, contemporaneamente, fra apertura e chiusura, esterno ed interno.

Dalla postura WU JI il peso, in sintonia con il respiro, si sposta alternativamente più sugli avampiedi, in apertura ed inspiro, e sui talloni, in chiusura ed espiro. Se nella prima regolazione abbiamo lavorato principalmente sui liquidi interni, in questo secondo movimento agiamo innanzitutto sulla energia vitale, il QI, che fra ventre e petto nasce, si accresce e si concentra e che si evolve da una apertura dei sensi e quindi della conoscenza, ad una fase di concentrazione e (ri)flessione e ancora maggiore consapevolezza.

Nel movimento di base, classico, le braccia si innalzano generalmente fino al livello delle spalle o della gola e, allontanandosi dal corpo, si aprono con in palmi che ruotano a guardare in alto, per poi richiudersi abbassandosi sul ventre, come a riportare e riportarsi all’interno. Oltre alle braccia il movimento interessa anche, in maniera sostanziale, il bacino e le lombari e di conseguenza, in mondo morbido, tutta la colonna vertebrale. Nell’inspiro, dunque nell’apertura e risveglio, il bacino si pone in anteroversione, nell’espiro in retroversione e concentrazione. La colonna vertebrale, dolcemente, si estende e si flette, ancor meglio, si rilassa. Le ginocchia, in sinergia, partecipano al movimento.

Si può iniziare la sequenza con i palmi a livello del ventre, come a “sostenere” una sfera, o a livello del petto, come ad “abbracciare” una sfera; dipende anche da come ci è venuto più spontaneo terminare la precedente regolazione, “calmare e pacificare”.

Partendo dal petto il movimento può essere all’inizio molto piccolo, come a scambiare le energie del cielo e della terra dentro di noi, poi, allargando la sfera, quasi a sdoppiarla, il movimento si amplia. Risvegliare e concentrare è anche come passare dal chiaro allo scuro, dal leggero al pesante. Accelerandolo, e con una diversa intenzione, il movimento richiama la camminata della tigre…

 


Mobilizzare e stabilizzare
Regolarizziamo, lungo il nostro asse centrale, l’alto, lo Yang e il basso, lo Yin. Salendo mobilizziamo la nostra parte Yin, il davanti, sviluppando l’energia della terra, che sale come linfa,  all’interno e in profondità,  verso il leggero ed il chiaro e scendendo stabilizziamo la nostra parte Yang, il retro, conducendo l’energia del cielo, come pioggia fresca, in superficie, verso il pesante e lo scuro. E’ un po’ come essere bottiglie che si riempiono e si svuotano anche se nel riempirci ci alleggeriamo e nel vuotarci ci appesantiamo; è il nostro QI che “sale e diventa più etereo, scende ed assume una forma”; è la nostra energia che si mobilizza, è la nostra postura che si stabilizza.
 
Il lavoro sui piedi, più che uno spostamento di peso, come nelle prime due regolazioni, è soprattutto una sensazione di alleggerimento e di appesantimento; le ginocchia, come sempre, partecipano al movimento, estendendosi un po’ e flettendosi, così pure la colonna vertebrale …, il tutto  in armonia con il respiro. Nel mobilizzare, sul davanti, i palmi salgono vicini all’asse centrale, rivolti verso l’alto e con le dita che si guardano; a livello delle spalle/gola,  le mani si allontanano, i palmi ruotano verso terra e scendono lateralmente; la nostra sensazione passa sul retro, a stabilizzare. E’ ancora, come nelle prime due regolazioni, un lavoro sui liquidi interni e sul soffio vitale, ma è anche, e soprattutto, un lavoro sulla sensazione del movimento quando, dopo aver ben mobilizzato, andiamo anche a riposarci stabilizzando la postura.. “contenendo” in profondità e “mantenendo” in superficie.Con questo esercizio andiamo anche ad influire (mobilizzare e stabilizzare) sulla energia  dei tre “diaframmi” , quello inferiore, (pelvico/sacrale/perineale, ancestrale), quello medio, (toracico, polmonare) e quello superiore, (craniale);  simbolicamente agiamo su terra, uomo e cielo.
 
Nel movimento di risalita possiamo immaginare di avere una sfera fra le mani che sdoppiamo a livello della gola per poi “schiacciare” dolcemente a terra nel movimento di discesa.Per rendere più completo il lavoro di questa terza regolazione a livello piedi/anche, massaggiamo le gambe, scendendo con i palmi all’esterno (stabilizzando) e salendo all’interno ( mobilizzando). 
 
Si può terminare l’esercizio con un movimento più ampio e circolare, come il volo di tutti i Draghi: stacchiamo il Drago dal basso, dalla “melma delle risaie” e dall’alto, dal troppo cielo … è un  movimento di armonizzazione complessiva di tutte le tre regolazioni.



 


Remarks
Sequenza tratta da esercizi della Scuola di Qi Gong SAN YI QUAN diretta dal maestro Georges Charles, insegnati in Italia  dalla TaoYin Italia, interpretati da ESaBel,  Michele Marchesini.
Spunti, citazioni, materiale informativo sono tratti da quanto a disposizione nel Corso di Formazione “Dao Yin Qi Gong e Arti Classiche del Tao” tenuto da Tao Yin Italia, ed inoltre e in particolare, dal videocorso di Marco Mazzarri (ed. Istituto di Scienze Umane), dal sito di Tui il Lago (Yuri Debbi), dal quaderno tecnico Kai Men Shi di Reymond-Lambert, dalla dispensa “Kai Men Shi"… e tanto, certamente, dagli appunti degli stage con il Maestro Georges Charles.

Le Tre Regolazioni... che diventano nove

 di Michele Marchesini

   Regolare il corpo nello spazio …  "come si possono affrontare cose più impegnative se non ci si è prima un po’ regolati"?

Quelle che chiamiamo “regolazioni” sono movimenti preparatori, fra i primi e i più semplici che possiamo eseguire nelle pratiche di QI GONG, per incominciare, in forma facile e piacevole,  a percepire il nostro soffio vitale, la nostra energia interna,  “sentendo” il corpo , in armonia con il respiro e  attivando le nostre sensazioni.

Il primo ed immediato scopo di questi esercizi è quello di farci sentire bene nello spazio che ci circonda;  lo YIN e lo YANG, con la loro continua mutevole alternanza, ci guidano nella nostra ricerca di un equilibrio sempre possibile, anche se sempre in cambiamento; la sinistra e la destra, l’avanti ed il dietro, l’alto ed il basso,  sono i binomi fondamentali che sperimentiamo attraverso le regolazioni; iniziare le regolazioni è come avviare una trasformazione e, attraverso l’ascolto, favorire un processo di centratura.

La prima regolazione è chiamata “calmare il cuore e pacificare lo spirito” e, davvero, non è poco; in questo disegno, che, schematicamente, rappresenta una montagna, possiamo immaginare la prima regolazione come i numeri 1 e 2,  la sinistra e la destra.
La seconda regolazione, “risvegliare le sensazioni e concentrare il soffio”, richiama alcuni aspetti che possiamo legare alla luce e all’ombra, rappresentati nel nostro diagramma dai numeri 3 e 4.
La terza ed ultima regolazione, “mobilizzare e stabilizzare”,  è rappresentata dall’asse verticale, il numero 5, l’alto ed il basso.

Le regolazioni quindi sono tre,  ma, in uno sviluppo completo dell’esercizio,  diventano  nove,   perché ognuna di esse può essere suddivisa in ulteriori tre livelli. Possiamo dunque effettuare le tre regolazioni sulla parte inferiore del corpo, dalle anche ai piedi, poi sul tronco, dalle spalle alle anche, ed infine collo e testa. Ad ogni livello possiamo visualizzare un piano; questi tre piani, paralleli alla terra, attraversano le caviglie, le anche e il capo (a livello degli occhi).

I principi rimangono gli stessi ad ogni livello, anche se nella prima serie di regolazioni, quella inferiore, più legata alla terra, è giusto porre particolare attenzione anche agli aspetti più esteriori, come ad esempio il cambio del peso sui piedi, pur senza trascurare gli aspetti più sottili che ogni regolazione può avere al suo interno: lavoro sui liquidi nella prima regolazione,  sui soffi vitali nella seconda e l’armonizzazione del tutto nella terza. D’ altra parte la prima serie di regolazioni è quella che utilizziamo per “sistemare” la base , ovvero quella che usiamo comunemente all’inizio della pratica e che è stata selezionata nella sequenza di sintesi, il KAI MEN SHI (aprire le porte della pratica).

Il secondo gruppo di regolazioni ha una valenza decisamente più fisica, lo si capisce già dall’utilizzo delle mani a contatto del corpo , sulle anche in particolare, che aiutano i movimenti di flessione a sinistra e a destra, avanti e indietro con oscillazione del bacino ed infine massaggiando l’addome ed il petto e picchiettando, con buona energia, il ventre con le dita e la zona lombare con i palmi.

Con l’ultimo gruppo di regolazioni, quelle che lavorano a livello del capo, torniamo ad essere più “interni”; è coinvolto lo Shen, lo spirito, e quindi non potrebbe essere altrimenti; i movimenti , con o senza contatto delle mani, sono piccoli e molto sentiti, in fin dei conti è il nostro capo che stiamo riequilibrando !!!

Dopo l’ ultima regolazione, la nona, ben stabilizzato il livello orizzontale, possiamo, con una leggera spinta del mento verso il basso e verso il retro con la nuca, estenderci verso il Cielo , aprirci e “sospenderci”, ritrovando la rettitudine, l’asse verticale : “ben appoggiati a terra e con la testa ben sospesa al cielo”. Tutto questo è anche ricercare la disponibilità e tornare alla postura fondamentale, Wu Ji, di immobilità senza rigidità, di allineamento senza fatica, di respiro profondo, lento e sottile :  siamo uomini liberi.

Dunque le regolazioni sono 3 x 3 = 9 , e c’è un ideogramma che ben sintetizza il significato del lavoro svolto con tutte le nove regolazioni ; è un ideogramma particolarmente importante, WANG, che significa Re o Imperatore, cioè l’uomo realizzato, colui che è in armonia con la Terra ed il Cielo, colui che unisce (il tratto verticale), energeticamente e spiritualmente i tre tratti orizzontali, i piani su cui abbiamo lavorato, che rappresentano la Terra,  l’Uomo ed il Cielo, mantenendo sempre la sua rettitudine.

E’ il SAN YI , il Tre in Uno, ed è anche il SAN YI QUAN, il Pugno delle Tre Armonie, il nome della Scuola che ha diffuso questa sequenza.

Seguono le descrizioni degli esercizi relativi alle tre principali regolazioni...

Remarks
Sequenza tratta da esercizi della Scuola di Qi Gong SAN YI QUAN diretta dal maestro Georges Charles, insegnati in Italia  dalla TaoYin Italia, interpretati da ESaBel,  Michele Marchesini.
Spunti, citazioni, materiale informativo sono tratti da quanto a disposizione nel Corso di Formazione “Dao Yin Qi Gong e Arti Classiche del Tao” tenuto da Tao Yin Italia, ed inoltre e in particolare, dal videocorso di Marco Mazzarri (ed. Istituto di Scienze Umane), dal sito di Tui il Lago (Yuri Debbi), dal quaderno tecnico Kai Men Shi di Reymond-Lambert, dalla dispensa “Kai Men Shi"… e tanto, certamente, dagli appunti degli stage con il Maestro Georges Charles. Grazie, infine, oltre che a Marco e Paolo, anche agli altri insegnanti del mio corso di formazione: Cristina Giovanni e Yves.
Michele

Il Canale del Maestro del Cuore nella Postura del Palo Eretto (XIN ZHU BAO - LUOZHAN ZHUANG )


Lezione del Maestro Georges Charles (Stage di Primavera Aprile 2016)
a cura di Yuri Debbi e Paolo Raccagni

Zhong (il centro),
si trova sopra il centro e sotto il Cuore,
è il Cuore centrato. (Georges Charles)

Ci sono infiniti modi di assumere e praticare nella postura del Palo Eretto o dell’Albero (ZHAN ZHUANG). Si può, ad esempio, costruirla in relazione al meridiano del Maestro del Cuore o, usando una traduzione più corretta e meno legata alla medicina occidentale, sul legame col “Canale della Rete di Protezione del Cuore” (XIN ZHU BAO LUO). In questo contesto, ZHAN ZHUANG rappresenta una vera e propria “protezione del Cuore”.

Per farlo, utilizzeremo i Nove Punti (JIU XUE) del Canale del Maestro del Cuore come se fossero punti della settimana enigmistica, da unire progressivamente con dei segmenti (DUAN) che daranno vita alla struttura. Le note su alcune delle caratteristiche dei singoli punti, hanno come obbiettivo la pratica e non l'aspetto “terapeutico” di quest'ultimi. L'intenzione è dare al praticante, attraverso l'interpretazione dei nomi dei punti sul meridiano e la loro posizione strategica e progressività, delle immagini che lo aiutino ad entrare in questa visione dell’esercizio.
Il Primo: TIAN QI (Serbatoio, Mare, Stagno Celeste).
Posto sul torace a fianco del capezzolo, il suo nome suggerisce una sorta di comunicazione e similitudine col punto QI HAI. È il nome di una Montagna Cinese e, secondo i Classici, apre il petto, fa scendere l’energia, calma il Cuore e lo Spirito.
Il Secondo: TIAN QUAN (L’Umidità, la Sorgente o Fontana Celeste).
Posto tra la fine della spalla e l'inizio del braccio, è la sorgente che sgorga dalla montagna, il cui nome suggerisce una sorta di comunicazione e similitudine col punto YONG QUAN (Sorgente Zampillante) posto sull’avampiede.
Il Terzo: QU ZE (Stagno o Palude del Gomito o della Curva).
Posto nella curva del gomito. Il suo nome è solitamente tradotto come “palude”, ma è un termine inesatto; in modo più corretto si deve parlare di “vapori che si elevano da una superficie d’acqua grazie all’effetto del sole”. Questi vapori non sono malsani, al contrario sono benefici e racchiudono la “Chiarezza del Torbido”. Un aspetto insolito delle acque del Fiume Giallo che, grazie alla sabbia in sospensione, sembra riflettano più luce di quella che assorbono. Elevandosi dallo stagno queste nubi incontrano la luce del sole e la riflettono a noi più intensa e brillante. I testi indicano QU ZE utile per disperdere il calore, far circolare il sangue e rilassare i tendini.
Il Quarto: XI MEN (Porta o Interstizio della Fessura).
Circa la centro dell'avambraccio, calma il Cuore e regola il sangue.
Il Quinto JIAN SHI (Intervallo del Messaggero).
Avvicinandosi sempre più al polso, in JIAN SHI ritroviamo la nozione di “comunicazione”, la possibilità di comunicare. È quasi come “abbracciare”. Calma il Cuore e disperde il dolore.
Il Sesto NEI GUAN (Barriera o Ostruzione Interna).
In generale noi traduciamo il termine GUAN come barriera, ma anche questa è una traduzione imprecisa. GUAN è la trave di legno che viene posta sui sostegni per chiudere una porta (MEN). KAI è sollevare questa trave e presuppone il bisogno di mettere sotto le mani, sollevare e penetrare, non è dunque una barriera, ma qualcosa che impedisce l’apertura e che può essere rimossa. Il significato della traduzione ci dà l'immagine di “un passaggio difficile e interno”. I testi dicono che NEI GUAN, posto prima del polso, allarga il torace, calma il fuoco del Cuore e le tensioni dovute alle emozioni.
Il Settimo DA LING (Grande Collina).
Posto sulla curva del polso, clama e regola il Cuore, disperde i dolori del Cuore come quelli fisici e psichici.
L’Ottavo LAO GONG (Palazzo del Lavoro o della Fatica).
Il punto più conosciuto dai praticanti delle Arti del TAO. Posto al centro del palmo è il punto di accoglienza e concentrazione del Soffio (QI). Disperde il calore e fa circolare il sangue.
Il Nono ZHONG CHONG (Incrocio del Centro).
Per poterlo “pungere” o “premere” è stato spostato dai terapisti nel bordo ungueale, ma in realtà si trova all’estremità della punta appena sotto l’unghia. Apre gli orifizi, risveglia lo Spirito (SHEN); fa parte dei punti detti di rianimazione.
Si potrebbe precisare ogni punto, come in Agopuntura, ma nella pratica del ZHAN ZHUANG li consideriamo solo segmenti (DUAN) che in questa particolare visone e aspetto legato al Cuore (XIN), useremo per costruire la postura e la struttura dell'esercizio. Nella Tradizione Medica dell'antica Cina il corpo umano è l'immagine dell'Impero e il Cuore (XIN) rappresenta l’Imperatore (WANG). ZHU BAO, la Muraglia Cinese è ciò che protegge l'impero e la sua Capitale, la sede dell’Imperatore.


Pur racchiudendo e proteggendo il regno, la Grande Muraglia permetteva la comunicazione verso le terre interne e lungo se stessa. Infatti era possibile muoversi sulla Grande Muraglia con grande vantaggio per l'esercito imperiale che poteva spostarsi molto velocemente e ben protetto, direttamente sulle sue mura. Questo sistema difensivo permetteva sì di proteggere i confini mantenendo le comunicazioni con l'interno, ma escludeva ogni tipo di comunicazioni con l'esterno. Pur essendo ben protetti, con una buona e veloce comunicazione con l'interno, resteremo però chiusi dentro senza più scambi e comunicazioni con l'esterno! Prima o poi, si renderà necessario un momento in cui saremo obbligati ad aprire le porte, per lasciare entrare le carovane.

Postura "chiusa"...

... dalla quale può nascere una postura "aperta"...

... e una verso le "piogge" o un "Grande Flusso" (TAI SU).
Tutte sono una sorta di apertura delle porte (KAI MEN).

Quindi molte volte l’anno le porte della Grande Muraglia dovevano essere aperte. L'ultimo ad aprire le porte fu un genarle della Dinastia Ming che vedendo la decadenza dell’Impero aprì le porte affinché i “barbari” Manciù potessero entrare portando un cambiamento del governo e un grande rinnovamento economico sociale.
Tornando a noi, possiamo fare una pratica ben chiusa, che avrà lo scopo di proteggere il Cuore, tonificare l’Energia Interna (NEI QI) e promuovere ed accrescere l’Energia Difensiva (WEI QI). Senza dimenticare di aprire e mobilizzare per tentare di liberare il Cuore dalla costrizione del suo Ministro, dall’eccessiva protezione e dal possibile ristagno; ci metteremo così in rapporto con l’esterno e con gli altri, promuovendo il cambiamento, l'adattamento, l'integrazione e l’evoluzione.

Alla fine, la Pratica deve rendere liberi. (Paolo Raccagni)

Lo Specchio purezza dello spirito.


di Paolo Raccagni

Specchio in bronzo
Durante la pratica del QI GONG della Scuola SAN YI QUAN incontriamo frequentemente l'immagine dello Specchio, di solito in compagnia di altre immagini simboliche quali il Ventaglio e il Cerchio. 

La proprietà dello specchio è riflettere, senza modificarla, un'immagine dunque dice il vero. Questa proprietà dello specchio ne fa uno dei talismani più potenti adottati dai praticanti del TAO, perché rivela la vera immagine dei demoni i quali, spaventati da ciò che vedono, rimangono a distanza.

Nel Buddhismo la tradizione simbolica dello specchio rappresenta la purezza dello spirito, la saggezza della conoscenza, strumento attraverso la quale giungere all'illuminazione. Uno specchio fa parte dei Tre Tesori Sacri del Giappone (SAN SHU NO JINGI – una Spada, uno Specchio e una Giada). Spesso l'immagine dello specchio sostituisce (o è sostituita) da altre superfici “liquide” come uno stagno o un lago. Utilizzato in oriente, come in occidente, nell'osservazione dei movimenti celesti (da cui il nome latino specula per indicare gli osservatori astronomici), assume un simbolismo solare o lunare (la Luna nello Stagno). Il “Saggio che osserva la Luna” riflessa nello stagno o nello specchio, è simbolo della "non attività" (WUWEI) di colui che perfetto nella purezza dello spirito (ZHEN REN – “Uomo Autentico”), agisce secondo la Via con la spontaneità (ZI RAN) della propria semplice esistenza, “riflettendo” le cose senza influenzarle o esserne influenzato.

Talismani a forma umana
Nella pratica del FENG SHUI incorniciato da un ottagono, spesso riportante gli otto trigrammi, rappresenta la fusione armonica tra il Cielo (cerchio) e la Terra (quadrato).

Durante la meditazione del "Calendario di Giada" usiamo gli occhi come specchi sui quali la luce esterna (fenomenale) si riflette illuminando il paesaggio interno (luce nuomenale) ed invertendo il flusso del Soffio Vitale (QI) rivela l'aspetto originale del corpo. Anche nella pratica della “visualizzazione nello specchio”, a conclusione delle “Dodici Porte Tredici Posture”, il primo esercizio nella sequenza del LING BAO MING DAO YIN FA, cerchiamo di vedere riflessa l'immagine di un quadrato sormontato da un triangolo e un cerchio. Questa immagine osservata nello specchio è “interiorizzata” poi “proiettata” da noi stessi all'esterno. Possiamo interpretare questa visualizzazione come riflettere noi stessi, il nostro “doppio”, a livello dei grandi simboli o di diagrammi (l'Uomo Realizzato di Mencius), oppure come era d'uso nelle pratiche del LING BAO, osservare una calligrafia, un amuleto o un talismano (FULU), rappresentante un corpo umano.
 
Di questi talismani ne esistevano diversi all'interno dei "canoni esoterici" che ritraevano caratteri calligrafici o percorsi come “labirinti”, molti dei quali avevano rappresentata una testa o un volto. Talismani che, celebri a partire dall'epoca dei Song nel “Taoismo Magico” del LING BAO e nella tradizione alchemica del Sud della Cina, riproducono il movimento del Soffio Vitale all'interno del corpo umano. Dunque una rappresentazione di un “labirinto”, di un percorso iniziatico che rivela all'adepto il funzionamento sia del mondo interiore o interno (microcosmo) che del l'universo (il mondo degli dei, secondo il DAOJIAO, la corrente religiosa del taoismo).

L'Uomo Realizzato
Per l’adepto il corpo stesso è un “talismano” e rimanendo, il corpo, nel mondo reale non comprende che un solo aspetto, ovvero solo la metà dei “soffi divini” (le 18.000 divinità interne, riflesso delle 18.000 divinità celesti). Questa metà attraverso il lavoro del Soffio (QI GONG) o il lavoro alchemico interno (NEI GONG) può allora unirsi ai Soffi Celesti (le 18.000 divinità celesti) per completare l’unione con il Tutto (36.000, 3+6=9, la completezza) e diventare “immortale divino… senza difetto”.

Concludendo, rappresentiamo nella pratica dello Specchio – Ventaglio – Cerchio la ricerca dell’immortalità: con lo specchio (quadrato) riconosciamo la nostra parte divina, mancante, e la “incorporiamo”; col ventaglio (triangolo) prendiamo il nostro posto nell’universo (l’Uomo tra Cielo e Terra); attraverso cerchio ci eleviamo al Cielo, la nostra “trasformazione” o aspirazione. Non è dunque a caso che questa pratica sia posta alla fine dell’esercizio delle “Dodici Porte Tredici Posture” (ancor meglio nella versione a “36” porte) un viaggio iniziatico attraverso vari passaggi (Porte) di purificazione per giungere al Cielo.

La postura WUJI a piedi uniti: "... Rimetta a posto la candela!..."

di Yuri Debbi



Meglio accendere una candela che maledire l’oscurità.” (Proverbio Cinese)

Per quasi la totalità delle cosiddette Pratiche Interne (NEI FA): Qi Gong, Taiji Quan, Ba Gua Zhang, Xing Yi Quan o altri ancora, assumere la postura Wu Ji rappresenta in qualche modo l’inizio e la fine della pratica. Questa postura è il primo “esercizio” che il principiante si trova ad eseguire, anche se molto spesso è ignaro delle infinite potenzialità di ciò che sta facendo e pensa di essere “solo” fermo; allo stesso tempo questa postura è la tecnica ultima del “Maestro”.

All’inizio e alla fine della Via…
La Tecnica non conta! 

Come sempre l’Ideogramma Wu Ji ha molteplici significati, ma tutti alludono al concetto di Forma-Non-Forma, di una posizione così indifferenziata e libera da contenere la potenzialità di ogni cosa. Alcune possibili traduzioni, non tutte letterali, possono essere:

  • Non-Colmo.
  • Non-Vetta.
  • Suprema Vacuità.
  • Energia Non-Manifesta.
  • Energia Potenziale.
  • Caos Primordiale (HUN DUN).
  • Uomo Libero in Piedi.
Nella Scuola San Yi Quan del Maestro Georges Charles, alla quale le pratiche dell’Associazione TaoYin Italia fa riferimento, si dice spesso: Wu Ji è la postura del Centro Profondo (ZHONG SHEN), la postura fondamentale che genera ogni cosa. In questa posizione, la calma è all’esterno, ma il movimento è all’interno.

Senza voler entrare troppo nel dettaglio, assumendo questa posizione l’Allievo traccia idealmente una serie di assi che posizionano a tutti gli effetti l’Essere Umano (REN) nel giusto ed equilibrato mezzo fra Cielo (TIAN) e Terra (DI) allineando e manifestando nella pratica le Tre Potenze (SAN CAI).

Un Asse Verticale, passante dalla sommità del capo fino al perineo [1].
Un Asse Orizzontale passante per i malleoli [2].
Un Asse Orizzontale passante per la radice delle anche e la testa dell’omero [3].
Un Asse Orizzontale passante per il bordo esterno dell’occhio e il canale uditivo [4].

 Così facendo il praticante traccia nello spazio e su sé stesso l’Ideogramma WANG (王 Re, Imperatore), simbolicamente "Imperatori di sé stessi".

WU JI - "Imperatori di sé stessi"


Come sempre a seconda delle Scuole, delle Pratiche specifiche e delle Tradizioni, esistono infinite varianti di questa postura, ma nella sua esecuzione più comune, la larghezza delle gambe varia fra il minimo dato dalla larghezza delle anche ad un massimo dato dalla larghezza delle spalle. I piedi sono paralleli. Spesso si dice che una postura troppo stretta implichi un disequilibrio laterale; mentre una postura troppo larga implichi un disequilibrio frontale. Da questa postura si cerca poi di ripartire equamente il peso del corpo sull’insieme della pianta dei piedi.

WU JI a piedi uniti o YI MA BU

 

Una delle varianti di questa postura si ottiene unendo i talloni ed aprendo le punte dei piedi; allo stesso tempo anche le braccia, pur rimanendo libere tendono ad avvicinarsi un poco al tronco. Così facendo, si ottiene una postura che a volte viene chiamata YI MA BU (“Preparazione alla Postura del Cavaliere”) o TAI YI BU (“Postura della Grande Unità”).
Quest’ultimo nome suggerisce che, rispetto alla completa “indifferenziazione” della postura Wu Ji classica, in questa variante ci sia una sorta di primitiva riunione dove non solo non c’è differenza, ma c’è una vera e propria fusione dei concetti di: Struttura (TI), Forma (XING), Respiro (QI), Emozione (GAN), Intenzione (YI) e Spirito (SHEN).

A proposito di questa posizione, il “Maestro dei Tre Stili” Sun Lutang dice:

“Partite guardando in avanti, il corpo è dritto, le mani cadono.
Le punte dei piedi formano fra l’oro un angolo di 90°.
Rimanete in piedi dimorando nel vuoto.
Non è presente nessuna idea di movimento né di quiete.
L’essenza della Postura Wu Ji è la quiete ed essa produce il movimento.
Quiete significa che il petto è vuoto; di Forma (XING), di Respiro (HU XI) e di Emozioni (GAN).
Non sono presenti né Intenzione (YI) né pensiero.
Lo Spirito (SHEN) è stabilizzato dagli occhi.
Non si deve osservare niente di ciò che è interno e non si deve guardare niente di ciò che è esterno.
Se c’è un movimento, esso è il naturale fluire dell’Energia (QI) e non deve essere controllato.
La postura è come il Caos Primordiale prima della genesi dell’Universo (HUN DUN),
non si può dire se è chiaro o torbido.
Non ci sono forme differenziate in questa postura, d cui il nome Wu Ji.
È molto profonda, ma se tu riesci a capire questo,
il tuo corpo potrà raggiungere i più alti livelli e tu comprenderai la teoria.”

Nella mia personale interpretazione, questa postura è da considerarsi una variante “Leggera e Celeste” della postura Wu Ji che, letta in quest’ottica, diventa la versione “neutra ed equilibrata” e legata quindi all’Essere Umano. Il Maestro Wang Zemin, insegnane del Maestro Georges Charles, diceva:

Per i Cinesi l’Essere Umano è per lo più Celeste;
solo la pianta dei piedi appoggia a terra e si dice che:
“La Punta dell’Alluce è già in Cielo”.
Passiamo molto più tempo Morti che Vivi, tanto vale elevarsi verso il Cielo
che rimanere impantanati a Terra.

Avremo quindi una sorta di TIAN WU JI (Postura Celeste del Non-Colmo).

Eseguendo la postura Wu Ji in questo modo, avremo appunto le punte dei piedi più o meno divaricate e i talloni uniti: questa modalità di tenere i piedi è abbinabile a molti esercizi di Qi Gong e passi nelle Arti Marziali Interne ottenendo l’effetto di aumentare la “leggerezza” della postura e del passo, rendere aperti e disponibili nella forma, nell’emozione, nel pensiero e nello spirito; rendendo mobili nei passi, aprendo nuove direzioni e “Vie” nel movimento a tutti i livelli: fisico nello spazio, emotivo nei rapporti, intellettuale nel pensiero e forse, spirituale. Rende pronti ad essere “riempiti”.

 
TIAN WU JI - Postura dei piedi

Posizione del Coccige

Il peso è prevalentemente distribuito sull’avampiede, nella zona intorno al Primo Punto del Meridiano del Rene chiamato YONG QUAN (Fonte Zampillante); in questo modo l’Energia della Terra sale come Vapore sostenendo la postura dal basso e spinge verso l’elevazione. Il radicamento a terra e la rettitudine sono mantenuti dal coccige che punta come una freccia verso il centro della Terra attraverso il Punto HUI YIN (Riunione degli Yin) mentre la sommità del capo, in opposizione, punta il Centro del Cielo attraverso il Punto BAI HUI (Cento Riunioni). Il coccige punta a terra, ma tutto a partire dalla sommità del capo è elevato verso il cielo in una maggiore estensione. Il peso e tutto ciò che “pesa” è scaricato in basso; mentre l’Intenzione (YI) e lo Spirito (SHEN) si sollevano in alto assieme a tutto ciò che è leggero. Piedi, ginocchia e anche sono maggiormente libere e aperte e mantenute alienate sullo stesso asse: se i piedi puntano a circa 45°, così faranno le ginocchia e le anche attraverso l’apertura degli inguini (KUA).

Questo garantirà il mantenimento delle Tre Armonie Esterne (WEI SAN HE).

In questa postura, siamo in un certo senso la fiamma della candela che arde!

 

I piedi sprofondano nella cera calda come se fossero più in profondità rispetto alla linea del pavimento. Il coccige, come lo stoppino, penetra idealmente ancora di più, come se volesse raggiungere i più profondi meandri della terra. Nel ventre ardono le braci che scaldano e alimentano la fiamma ancora legate alla sommità dello stoppino. Nel petto, dove la forma dello stoppino non è più presente, la fiamma è più chiara, calda e più leggera in un misto di calore, luce e “respiro” (HU XI). Nella parte superiore (gola, collo e testa) la fiamma è chiara e leggera, la luce prevale e tutto tende come una freccia al cielo. Il risultato è una fiamma libera nel vento, luce nell’oscurità; una luce che illumina il cammino e che può accenderne altre. Tutte le caratteristiche attribuibili allo Shen.

In ogni occasione, mantenete la fiamma accesa!
 - Dal Film The Grandmaster -


http://www.taoyinitalia.it
http://www.tuiillago.it




Tui Shou, la trasformazione di sè attraverso l'altro



Non è tutta farina del mio sacco per cui ringrazio e la dedico tutti i miei Maestri.

Paolo Raccagni

Il TUI SHOU è una pratica comune in tutte le Arti Marziali Interne ed Esterne. La traduzione dal cinese è “spingere con le mani” o “mani incollate” e di solito, ai neofiti, si insegna per migliorare il proprio equilibrio nella postura e nel contatto con l'altro. Ma questa è solo l'apparenza vista da un osservatore esterno anche se attento. Il vero scopo del TUI SHOU nel praticante esperto è compiere una trasformazione (HUA).

La trasformazione nel TUI SHOU avviene a diversi livelli. Il primo è lo studio stesso del TUI SHOU: imparare a trasformare la forza (HUA JIN) dell'altro, piuttosto che cercare di opporsi. A un livello più filosofico, per accedere al TUI SHOU, occorre trasformare la “marzialità” stessa.

Spesso l'Arte Marziale è intesa come l'opposizione o il confronto di due parti. Il TUI SHOU ha come scopo minimizzare questa opposizione. La necessità di “opporsi” si trasformerà nell'adesione “con” l'altro, anche nei momenti difficili della pratica e della vita. Il contatto si mantiene attraverso cerchi e spirali, ma ponendosi nella totale disponibilità e ricercando il risveglio delle sensazioni. È molto diverso da quello di “vigilanza attiva” che in genere si ritrova nelle Arti Marziali (meglio sarebbe iniziare a chiamarle Arti Cavalleresche), in particolare nelle competizioni. Non appena lo spirito di competizione appare nel TUI SHOU si osserva che le mani diventeranno più tese e il corpo tende a chiudersi.

Il TUI SHOU non ha come obbiettivo la superiorità sull'altro, ma piuttosto coltivare e mantenere la propria integrità (o rettitudine) nel rapporto con l'altro. Si tratta dunque di un livello d'iniziazione. Essere disponibile nel contatto significa accettare l'altro, non “tagliarlo fuori” durante le avversità, ma integrarlo come parte di sè.

È abbracciare la dualità Yin-Yang. È lì che si trasforma la relazione. Le proprie sensazioni diventano relative e tutto ciò che viene dall'altro arriva a noi come una propaggine delle nostre esperienze, del nostro sentire. Assumerci la responsabilità delle nostre percezioni, senza alcun interesse a rimuovere l'altro dal momento che fa parte di noi stessi. È il gioco dello Yin-Yang, è l'armonia tra il Cielo e la Terra, tra il Maschile e il Femminile. Ognuna delle due parti comprende l'altra in se stessa e non esiste l'una senza l'altra. Il modo di seguire il Tao è quello di includere l'altro in sè stessi, integrarlo fisicamente, psicologicamente ed energeticamente.

Il TUI SHOU deve diventare per il praticante, neofita o esperto, una scuola di interdipendenza e di auto-accettazione attraverso l'altro.

Il Te alla moda dell'Artusi


Pellegrino Artusi 1820 1911
Tutti gli amanti della buona cucina conoscono Pellegrino Artusi. Nacque a Forlimpopoli nel 1820 e morì a Firenze nel 1911. Fu scrittore, gastronomo e critico letterario, ma nonostante tutto il suo lavoro letterario divenne famoso come autore del celebre libro “La Scienza in Cucina e l'Arte del Mangiar Bene”. Il suo libro lo si potrebbe definire “scientifico” perché ogni ricetta (sono 790) fu il frutto di prove e sue sperimentazioni, coadiuvato dalla cuoca personale, di origine toscana, Marietta.
Non tutti sanno però che era un bevitore e amante del te cinese. Aveva la sua miscela che preparava in modo “tradizionale”. Qui di seguito ho trascritto la ricetta n° 777 che riguarda la preparazione del “the” e alcune curiosità dell'uso in Italia di questa foglia alla fine del'800.

Paolo Raccagni
Copertina della prima edizione

Ricetta 777. - The.

La coltivazione del the è quasi esclusiva della China e del Giappone ed è per quegli Stati uno de’ principali prodotti di esportazione. I the di Giava, delle Indie e del Brasile sono giudicati di qualità assai inferiore.

Le sue foglioline, accartocciate e disseccate per esser messe in commercio, sono il prodotto di un arbusto ramoso e sempre verde che non si eleva in altezza più di due metri. La raccolta della foglia ha luogo tre volte all'anno: la prima nell'aprile, la seconda al principio dell'estate e la terza verso la metà dell'autunno.

Nella prima raccolta le foglie, essendo piccole e delicatissime, perché spuntate da pochi giorni, danno il the imperiale, che rimane sul luogo per uso dei grandi dell'impero; la terza raccolta in cui le foglie hanno preso il massimo sviluppo, riesce di qualità inferiore.

Tutto il the che circola in commercio si divide in due grandi categorie: the verde e the nero. Queste poi si suddividono in molte specie: ma le più usitate sono il the perla, il souchong e il pekoe a coda bianca il cui odore è il più aromatico e il più grato. Il the verde essendo ottenuto con una essiccazione più rapida che impedisce la fermentazione, è più ricco di olio essenziale, quindi più eccitante e però è bene astenersene o usarlo in piccola dose frammisto al nero.

Nella China, l'uso del the risale a molti secoli avanti l'era cristiana; ma in Europa fu introdotto dalla Compagnia olandese delle Indie orientali sul principio del secolo XVI; Dumas padre dice che fu nel 1666 sotto il regno di Luigi XIV che il the, dopo una opposizione non meno viva di quella sostenuta dal caffè, s’introdusse in Francia.


Il the si fa per infusione e ritiensi che meglio riesca nelle theiere, di metallo inglese. Un cucchiaino colmo è dose più che sufficiente per una tazza comune. Gettatelo nella theiera, che avrete prima riscaldata con acqua a bollore e versategli sopra tanta acqua bollente che lo ricopra soltanto e dopo cinque o sei minuti, che bastano per sviluppare la foglia, versate il resto dell’acqua in ebollizione, mescolate e dopo due o tre minuti l'infusione è fatta. Se la lasciate lì troppo, diventa scura e di sapore aspretto perché si da tempo a sciogliere l'acido tannico delle foglie che è un astringente; però, se durante la prima operazione avete modo di tener la theiera sopra il vapore dell'acqua bollente, estrarrete dal the maggior profumo, ma se paresse troppo forte si può allungare con acqua bollente.


L'uso del the in alcune province d'Italia, specie ne’ piccoli paesi, è raro tuttora. Non sono molti anni che io mandai un giovane mio servitore ai bagni della Porretta per vedere se imparava qualche cosa dell’abile maestria dei cuochi bolognesi; e se è vero quanto egli mi riferì, capitarono là alcuni forestieri che chiesero il the; ma di tutto essendovi fuorché di questo, fu subito ordinato a Bologna. Il the venne, ma i forestieri si lagnavano che l'infusione non sapeva di nulla. O indovinate il perché? Si faceva soltanto passar l'acqua bollente attraverso le foglie che si ponevano in un colino. Il giovine, che tante volte lo aveva fatto in casa mia, corresse l'errore e allora fu trovato come doveva essere.

Anche il the eccita i nervi e cagiona l'insonnia; ma la sua azione, nella maggior parte de' casi, è meno efficace di quella del caffè e direi anche meno poetica ne’ suoi effetti perché a me sembra che il the deprima e il caffè esalti. Però la foglia chinese ha questo di vantaggio sopra la grana d'Aleppo, e cioè, che esercitando un'azione aperitiva sulla pelle, fa sopportare meglio il freddo nel rigido inverno; per questo, chi può fare a meno di pasteggiar col vino nella colazione alla forchetta, troverebbe forse nel the, solo o col latte, una bevanda delle più deliziose. Io uso un the misto: metà Souchong e metà Pekoe.

da "La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene" di Pellegrino Artusi